Altopascio - Altopascio (LU) - QualcosaDaFare.it
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L'origine di Altopascio è legata all'incremento dell'attività assistenziale e caritatevole, che ebbe luogo su iniziativa ecclesiastica all'epoca della riforma gregoriana (XI secolo). Pervasa da un nuovo fervore, la Chiesa, oltre all'opera di moralizzazione del clero e di organizzazione interna, si apre alla società per risolverne i bisogni religiosi anche in termini di organizzazione logistica, affidandosi spesso all'istituzione di canonici e confraternite di regolari, in genere sotto la regola di S. Agostino. Nel secolo XI hanno avvio fenomeni storici di grande portata: la cessazione delle invasioni barbariche, l'incremento demografico, lo sviluppo della produzione agricola; la società si trasforma da feudale e agricola in mercantile, con la conseguente crescita dei traffici e dei movimenti di persone e merci, in particolare lungo la via Francigena. All'importante strada è legata l'origine di Altopascio: l'itinerario, oltre alla sua funzione logistica ed economica, ha infatti anche un ruolo devozionale, legato al flusso dei pellegrini diretti a Lucca, in visita al Volto Santo, a Gerusalemme (sulla scia del culto gerosolimitano) e a Roma dove è conservata la tomba dell'apostolo Pietro. In questo quadro nasce l'ospedale di Altopascio, sito nel tratto tra Lucca e Fucecchio, in un luogo che fin dalle carte del secolo X e dei- nito come Teupascio o Teupasso o Tepascio al pari dell'omonimo fiumicello. Il passaggio era praticamente obbligato, essendo compreso tra il lago di Bientina e quello del Sibolla; in quel luogo la via Francigena lasciava il tratto piano e soggetto ad allagamenti per iniziare l'attraversamento della macchia delle Cerbaie, vasta e infestata dai briganti prima dei disboscamenti cinquecenteschi. Non fu pertanto difficile intendere il nome Altopasso come passo alto, cioè come passaggio, attraversamento difficile, molto pericoloso, decisivo: questo binomio è riccamente significativo nella cultura medievale, poiché intende anche la morte, come passaggio alla vera vita e ricongiungimento a Dio. La civiltà medievale vede un senso 'figurale' in quasi ogni cosa. Anche il pellegrinaggio segno terreno di questo passaggio che avverrà al momento della morte. Per questo un ospedale pellegrini che portava nel nome per stesso il segno del momento più critico e più importante per la vita dell'uomo doveva apparire all'immaginario medievale come qualcosa di eccezionale. È l''Ospedale' per antonomasia, vera e propria 'città santa' e immagine stessa della carità. Si perse cosi il senso dell'origine etimologica del termine, che era più semplicemente toponomastica e indicava la posizione dell'ospizio al Tepascio, cioè presso il Teupascio, o Topascio, o Tepascio, che era un fiumicello il cui nome sembra derivare da un composto germanico theudo - baki (probabilmente 'rivo pubblico'; ted. dietbach) e che poteva servire per abbeverare gli animali o muovere le pale dei mulini (Arcamone). Negli atti più antichi il testo latino conserva al nome dell'ospedale la sua forma volgare nelle varianti di Altopascio, Altepascio. In quel luogo né la ricerca storica, né quella archeologica, hanno finora accertato la presenza di insediamenti o strutture precedenti all'ospizio. Non si conosce l'anno di fondazione dell'ospedale, dietro cui una parte della storiografia ha visto la mano della contessa Matilde di Canossa, Marchesa di Toscana e fervida fiancheggiatrice dell'opera di Gregorio VII. Per quanto riguarda la data si è pensato all'incirca al 1060, periodo in cui lungo la Francigena è particolarmente intenso anche il traffico di pellegrini in visita al Volto Santo di Lucca, venerato fin dal secolo VIII. Dalla poesia in calce alla Regola in volgare è stato dedotto che l'ospedale fu istituito da dodici cittadini lucchesi (il coro duodenale) probabilmente riuniti in una confraternita in linea con l'uso dei regolari di riprodurre il numero degli Apostoli. Trattandosi di un ospedale per l'alloggio dei poveri e pellegrini, fu dedicato a S. lacopo, rappresentato come povero pellegrino per eccellenza, a cui furono affiancati S. Egidio e S. Cristoforo anch'essi protettori dei pellegrini. L'ospedale era retto da un maestro o priore o precettore, guida di una comunità di frati, all'interno della quale esistevano varie divisioni a seconda di ruoli e mansioni: erano presenti in fatti frati sacerdoti, diaconi, suddiaconi, semplici laici e, in ultimo, serventi. Grazie a lasciti e donazioni il patrimonio dell'ospedale crebbe come pure la sua funzionalità: in varie località d'Italia ed anche d'Europa (come in Francia, e in Inghilterra) si aprirono ospedali che portavano il nome di Altopascio e ne dipendevano, almeno nominalmente; tra la fine del secolo XII e la metà del successivo lo stesso complesso urbanistico di Altopascio fu oggetto di una grande opera di ristrutturazione, accrescimento, abbellimento che lo portò ad assumere una fisionomia castellana. All'interno di questo processo di costruzione venne poi edificata la nuova pregevole chiesa, il palazzo e il chiostro grande, anche per impulso di uno dei suoi più attivi maestri: Gallico. Nel frattempo la comunità di regolari si era trasformata in un vero e proprio ordine religioso, che proprio per iniziativa di Gallico, nel 1239, ricevette da papa Gregorio IX la Regola agostiniana dei frati di S. Giovanni di Gerusalemme, senza peraltro che ne venisse stabilito un rapporto di dipendenza. Il nuovo ordine ammetteva anche la presenza di donne, in qualità di suore. Ancora aperta è la discussione relativa al fatto che esso fosse o meno un vero e proprio ordine militare, come lo era quello dei Gerosolimitani. Nell'ordine erano presenti i cavalieri, distinti nella Regola, ed esso venne considerato equestre almeno dal Cinquecento in poi, tanto che i frati di Altopascio erano notissimi come Cavalieri del Tau; tuttavia questo aspetto, se pure presente, dovette essere secondario rispetto a quello dell'assistenza. I frati di Altopascio avevano comunque l'importante compito di custodire alcuni ponti (come quello di Cappiano sull'Usciana, di Fucecchio sull'Arno, di Castelfiorentino sull'Elsa) e ripararli o addirittura ricostruirli (dal momento che erano, in genere, di legno) per i danni delle piene, e proprio l'immagine del ponte come passaggio obbligato e rischioso conferma l'interpretazione corrente del nome Altopasso. L'ospedale aveva infine come segno il Tau, la lettera greca che era immagine della Croce (crux admissa). Che cosa offriva l'ospedale? Vitto e alloggio per il tempo necessario al passaggio, assistenza alle donne partorienti ed ai bambini gettatelli, cioè rifiutati dalla madre, cure mediche agli ospiti ammalati; una molteplicità di attività che ebbe in Altopascio grande sviluppo, tanto che si è ipotizzata la presenza di una vera e propria scuola medica (Coturri). Una tale assistenza veniva esercitata tenendo conto di quelle che erano le distinzioni del tempo, cioè le regole sociali: le persone di condizione elevata venivano alloggiate separatamente rispetto a quelle più umili, come pure si separavano laici e chierici e maschi e femmine, segno questo di corretta funzionalità. Le trasformazioni urbanistiche non ci consentono purtroppo di ritrovare il sistema delle strutture medievali, descritte da una lettera del maestro Bartolomeo De Bonittis del 1420 e riferita all'epoca di maggiore attività. L'ospedale conteneva i due complessi principali destinati all'alloggio secondo la classificazione del tempo (Peyer): il pellegrinaio, cioè l'ospedale dei poveri, destinato ai pellegrini che arrivavano a piedi, e l'ospedale dei nobili, cioè la foresteria, destinata ai pellegrini che arrivavano a cavallo, e inoltre mense e cucine, infermerie e alloggi dei frati. Il pellegrinaio è chiamato nella lettera casa dei poveri; la scrittura lo descrive come un edificio ammirevole per la sua grandezza e articolata funzionalità e precisa che era situato all'ingresso della Mansione, cioè del complesso ospitaliere. La massa dei pellegrini a piedi tuttavia non era socialmente omogenea: tra di loro si potevano trovare sia nobili decaduti che poveri evangelici, cioè mendicanti: l'ospitaltà nel pellegrinaio rispettava tali differenziazioni (probabilmente si avevano settori diversi dello stesso corpo edificato) e gli ospiti, secondo la lettera, venivano assistiti anche da persone dello stesso sesso, stato e condizione. Di tale pellegrinaio medievale si precisa che comprendeva un'efficientissima infermeria, nella quale si rispettavano gli stessi criteri di differenziazione sociale operanti nell'alloggio. È da immaginarsi l'efficienza di una tale struttura, che nei momenti di punta (come i giubilei) poteva dare alloggio a numerosi gruppi di persone. La foresteria è definita dalla lettera come curia dei nobili; essa corrispondeva all' hospitale nobilium di cui parla il Peyer, cioè all'alloggio per le persone di condizione sociale più elevata, i cosiddetti pellegrini a cavallo; la lettera precisa appunto che in essa si trovava la stalla per le cavalcature. Quest'alloggio è descritto come particolarmente importante e pregiato, e del resto in esso potevano essere ospitate personalità anche di livello sociale e politico molto alto. Il termine Curia fa pensare ad un corpo edilizio disposto intorno ad un cortiletto, forse con loggiato o un piccolo chiostro. La lettera identifica poi una curia dei domestici, in cui si preparavano con grande abbondanza le mense per fornire il cibo agli ospiti; come per la foresteria il termine curia ci fa supporre che si trattasse di una struttura con cortile o porticato, con cucine e mensa. Tale struttura medievale, distrutta dagli eventi bellici, fu sostituita in epoca rinascimentale dalla cosiddetta dispensa, che sorse in una parte del centro un tempo probabilmente inedificata. Infine l'ultima struttura di cui nella lettera si fa menzione è il refettorio dei frati. A partire almeno dal Duecento Altopascio fu anche un castello, cinto da mura in pietra a filaretto, con feritoie da balestra. porte, torri. Lo stesso campanile fungeva da fortezza e nella parte inferiore aveva una cisterna ed un granaio (Nelli). Giovanni Villani riferisce che nella guerra del 1325 tra Castruccio Castracani e i Fiorentini era difeso da cinquecento soldati e richiese un mese di assedio per espugnarlo. Appartenne fino al 1339 al Comune di Lucca, poi, dopo anni di possesso conteso, in seguito alla pace di Pescia del 1365, fu definitivamente dei Fiorentini; i Pisani lo incendiarono e distrussero nel 1363, ma fu comunque ricostruito. Le mura presentano i segni di diversi interventi di ampliamento o ricostruzione: abbiamo parti in pietra a filaretto, sormontate da una soprelevazione in laterizi; parti interamente in laterizi, e parti forse abbattute. Non sappiamo quante fossero con precisione le porte e le torri in epoca due-trecentesca, ma certamente vi erano il campanile, la torre della Voltola, detta del Casale la porta fiorenentina, che aveva struttura di torre merlata. Al 1628 risale la prima pianta delle mura castellane, che riporta una situazione rinascimentale o postrinascimentale. Le porte castellane indicate sono quattro: porta Pesciatina a nord, detta anche porta del mulino (attuale Porta Mariani); porta Fiorentina a sud-est, detta anche porta dell'osteria (attuale Porta Vettori); a fianco del campanile, fino al secolo scorso, la porta detta del Padule, perché da li si prendeva la via che va in padule e, a sud-ovest, la porta del Giardino, cosi detta forse perché aperta in epoca cinquecentesca su quello che almeno in precedenza doveva essere stato l'orto dell'ospedale (gli orti, secondo la consuetudine dell'epoca, erano chiamati anche giardini). Nel corso del secolo XIV l'istituzione ed il complesso decaddero: il castello, coinvolto nelle guerre per il possesso della Valdinievole tra Lucchesi, Fiorentini e Pisani, venne assalito, espugnato incendiato e distrutto; restaurato, perse tutta via importanza strategica quando Firenze tolse a Lucca il possesso di Montecarlo (1437), potente e munita roccaforte in una posizione di rilievo. Nel 1460 papa Pio II soppresse l'ordine dei frati di Altopascio, per destinarne le entrate al finanziamento di un nuovo ordine militare da lui istituito in vista della lotta contro i Turchi; di fatto tale soppressione non ha effetto. Ospedale continuò la sua attività sotto la guida dei maestri della famiglia fiorentina dei Capponi, i quali si impegnarono in una grandissima opera di ristrutturazione edilizia e funzionale del complesso in grave decadimento, proseguendo e amplificando l'opera avviata dal maestro Bartolomeo De Bonittis. L'intervento come proporzioni e rilievo fu secondo solo a quello duecentesco, tanto che i Capponi vennero considerati i nuovi fondatori dell'istituzione, ottenendone il giuspadronato, cioè il diritto di scelta della persona del maestro (il capitolo risulta scomparso da tempo. Tra il Quattrocento e il Cinquecento una grandiosa serie di lavori cambiò il volto dell'ospedale, secondo i canoni architettonici e spaziali del Rinascimento, che richiedevano superfici più ampie e diversamente funzionali: si abbatterono edifici e casolari siti sul lato nord dell'attuale piazza Garibaldi, per dar luce alla nuova facciata del palazzo: si demolirono due lati del chiostro, che venne trasformato in cortile fattoria, a cui venne dato sbocco autonomo all'esterno mediante la porta del Giardino; il lato sud fu integrato nei nuovi edifici e gravemente danneggiato; andarono in frantumi capitelli e colonnine marmorei delle finestre (bifore o trifore) che dovevano correre lungo gli ambulacri del chiostro al piano superiore, in massima parte fracassati, polverizzati e gettati con la restante maceria dei muri nel riempimento di compattazione delle volte; quanto, infine, delle strutture medievali non venne integrato in quelle nuove, fu inesorabilmente distrutto. In compenso si edificarono strutture di pregio come la facciata del palazzo di fattoria, sul cortile grande, la loggia del pellegrinaio probabilmente il nuovo pellegrinaio rinascimentale, la loggia di fattoria e l'oratorio della Purificazione (distrutto nel 1827); si coprirono l'interno della chiesa di S. Iacopo e quello delle stanze della Casa con volte a lunette con bei peducci in pietra serena e si allestì il cimitero. Nel secolo XVI l'ospedale entrò sotto il controllo mediceo, che avvenne mediante la figura di Ugolino Grifoni, uomo di fiducia del duca Cosimo I. Egli resse il magistero per quarant'anni, sia direttamente che vice et nomine dei cardinali Ciovanni e Ferdinando dei Medici. Dopo la morte del Grifoni (1576) i Medici ottennero con permuta dai Capponi il giuspadronato (1584); nel 1587 ottennero da papa Sisto V che l'Ospedale di Altopascio fosse soppresso come istituzione e ricostituito come Commenda magistrale del nuovo ordine militare di S. Stefano, il cui maestro era ereditariamente il Granduca di Toscana e la cui figura giuridica non richiedeva la professione dei voti. Tranne quindi la configurazione giuridica del beneficio, tale operazione non comportò cambiamenti per l'ospitalità; si ebbero le relazioni delle visite periodiche del Priore della chiesa conventuale di S. Stefano in Pisa e si affrescarono in rosso le croci dell'Ordine di fianco all'ingresso principale della chiesa di S. Iacopo. Il cambiamento forse più significativo sta nel fatto che i beni dell'ospedale vennero, da quel momento in poi, amministrati tra quelli medicei, con notevole beneficio per la regolarità dell'amministrazione, dalla tenuta contabile alla giacenza di archivio. L'attività assistenziale continuò, anche se in tono minore rispetto ai secoli aurei, e si protrasse per il lungo periodo mediceo lorenese. Anziché vicende di frati, pellegrini, papi o imperatori, le scritture riportano potentemente in scena il vissuto quotidiano della comunità, il mondo della campagna, dei lavori agricoli ed edilizi, in un grande, ricco affresco. Il patrimonio fondiario dell'Ospedale fu diviso in membri o fattorie; il centro stesso di Altopascio diventò prevalentemente una fattoria, i cui edifici si svilupparono intorno a due cortili, separati da una porta rispetto alle case e botteghe della comunità, situate intorno alla piazza. Al 1687 risale la prima grande pianta del la fattoria di Altopascio; nel 1740, in occasione dell'affitto della fattoria, venne stesa una minuziosa descrizione con inventario e stima, poi una nuova pianta con accurata definizione del centro storico. Nel 1773 l'ospedale, ridotto ormai ad un ricovero per poveri, fu chiuso da Pietro Leopoldo I di Lorena, che ne destinò le masserizie al nuovo grande ospedale da lui fatto costruire in Pescia. Finì cosi la storia dell'ospitalità in Altopascio, ma la fattoria rimase ancora vitale, con suoi trentotto poderi, e tale vitalità è dimostrata dal fatto che nel 1774 lo stesso Granduca fece edificare il Piaggione, cioè un complesso di venticinque buche da grasce (silos per grano). Nel 1780. però, le decisioni governative mutarono direzione: la riforma agraria prevedeva la vendita dei beni di stato a privati cittadini, nell'intento di creare un ceto di piccoli possessori, e anche la fattoria di Altopascio venne messa in vendita. Ha termine così la sua storia di complesso unitario come proprietà e gestione. Lo sviluppo demografico della comunità, nel secolo successivo, con la crescita urbanistica dell' abitato fuori delle vecchie mura e lungo la via Regia (Via Cavour), provocò anche un importante e dannosa ristrutturazione edilizia: per costruire la nuova chiesa, tra il 1827 e il ‘30, si intervenne sul complesso di edifici e spazi costituito dalla chiesa di S. Iacopo, dal cimitero, dall'oratorio della Purificazione, dal cortiletto e dalla stanza mortuaria. L'intervento fu devastante: oltre ad un distruttivo effetto sugli edifici esso annullò tutta la vecchia scansione degli spazi stessi; la chiesa fu svuotata, sventrata, ridotta a transetto di quella nuova; l'oratorio distrutto quasi del tutto; cimitero e cortile cancellati come spazi ordinati e ridotti ad un angolo degradato. Nel 1881 Altopascio, che faceva parte del Comune di Montecarlo, si costituì in comune autonomo con le frazioni di Spianate e Marginone, incorporando nel 1925 Badia Pozzeveri.

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